Cronaca dell’incontro “Rapaci allo sbaraglio. L’impero asburgico dal punto di vista ungherese”

19 novembre 2025
Martedì 18 novembre, nella sede della Società Internazionale di divulgazione Manlio Cecovini per gli studi storici, sociali ed etici, si è tenuta la conferenza “Rapaci allo sbaraglio. L’impero asburgico dal punto di vista ungherese”, con relatore Juhasz Balazs, docente di storia contemporanea alla Eötvös Loránd University di Budapest.

Introdotto da Luca Manenti, che ha ricordato come il punto di vista ungherese rimanga spesso marginale nell'immaginario dei triestini, Balazs ha invitato il pubblico a riflettere su quanto sia complesso utilizzare categorie moderne – come “Austria”, “Ungheria” o “nazione” – per descrivere un mondo politico del tutto diverso da quello attuale, segnato da un’organizzazione feudale, da forti autonomie territoriali e da una pluralità etnica che non corrisponde alla visione nazionale ottocentesca. L’Ungheria, ha spiegato, si considerava una “parte a parte” all’interno dell’universo asburgico, legata all’imperatore solo dalla persona del sovrano, mentre la Corte di Vienna tendeva a vedere quei territori come una componente da integrare e controllare.

La lunga relazione tra l’Ungheria e gli Asburgo fu segnata da un equilibrio instabile, fatto di necessità e resistenze. Da un lato, il sostegno militare ed economico di Vienna rappresentò spesso l’unica difesa efficace contro l’espansione ottomana; dall’altro, la nobiltà magiara difendeva con tenacia un sistema di leggi che contemplava persino il diritto alla ribellione nel caso in cui il sovrano non avesse rispettato le libertà del regno. Da questo intreccio nacquero due categorie politiche tuttora vive nel linguaggio ungherese: i “Labanc”, favorevoli alla collaborazione con l’impero, e i “Kuruc”, fautori dell’indipendenza, simboli di un’antica dialettica tra apertura all’Occidente e difesa rigorosa dell’autonomia nazionale.

I tentativi di modernizzazione di Maria Teresa e Giuseppe II furono a lungo interpretati dalla tradizione ungherese come imposizioni centralizzatrici. In realtà, ha sottolineato Balazs, il loro operato si inseriva in un più ampio progetto di razionalizzazione dello Stato. La memoria collettiva magiara ha continuato a conservare un’immagine ambivalente degli Asburgo, spesso semplificata o distorta, soprattutto nel corso del Novecento socialista, quando la narrazione ufficiale li ridusse a simboli dell’oppressione imperialista. Nello stesso periodo, la diffusione delle idee nazionali portò a rivedere profondamente l’identità del regno d’Ungheria, trasformando una realtà storicamente multietnica in una comunità che tendeva a definire sé stessa in termini linguistici e culturali omogenei, con conseguenze complesse per i rapporti con le altre popolazioni dell’impero.

Il Compromesso austro-ungarico del 1867 istituì il dualismo e mise formalmente l’Ungheria sullo stesso piano dell’Austria. Sebbene quel momento sia ricordato come un periodo di grande sviluppo economico e culturale – i monumenti di Budapest ne sono ancora oggi una testimonianza evidente – non mancarono critiche e opposizioni, come quelle di Lajos Kossuth, che dalla sua emigrazione torinese giudicava l’accordo un errore fatale. Le tensioni interne all’impero continuarono fino alla Prima guerra mondiale, quando le differenze di visione tra le due metà della monarchia resero difficile perfino la gestione degli approvvigionamenti, mostrando quanto fragile fosse, in realtà, l’idea di un’unica comunità imperiale.

Nel dibattito conclusivo, il pubblico ha posto numerose domande: dalla percezione di Sissi come “regina degli ungheresi” alla rete culturale che nel primo Novecento legò Budapest, Trieste e Firenze; dal ruolo dei croati nel sistema politico ottocentesco alle dinamiche interne dell’esercito durante la Grande guerra. Le risposte di Balazs hanno restituito un quadro ricco e sfaccettato, in cui l’impero asburgico appare come un mosaico di culture, identità e memorie che ancora oggi continuano a interrogare e dividere. La conferenza si è così rivelata un’occasione preziosa per osservare con occhi nuovi una storia condivisa e spesso raccontata solo da una delle sue molteplici prospettive.  

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