Si è tenuta ieri sera, alla Libreria Ubik di Trieste, la presentazione del libro "La patria alla frontiera. Storia dell'irredentismo adriatico" di Fabio Todero, edito da Laterza. L'evento, organizzato dall'Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell'Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia, ha visto un vivace dialogo tra l'autore, lo storico Raoul Pupo e Luca G. Manenti, direttore scientifico della Società Internazionale di Divulgazione Manlio Cecovini per gli Studi Storici Sociali ed Etici.
L'incontro si è aperto con l'introduzione di Pupo, che ha evidenziato l'importanza del libro: «Non è solo un buon libro, ma un bel libro, uno di quelli che si leggono d'un fiato». La discussione ha subito messo in luce il valore storiografico dell'opera, definita da Manenti come un testo che finalmente colma una lacuna sulla storia degli irredentismi adriatici, affrontando il tema con rigore e originalità.
Todero ha illustrato la complessità del fenomeno, sottolineando come l'irredentismo non sia un concetto monolitico, ma una realtà sfaccettata, con diverse anime e declinazioni. Manenti ha evidenziato il merito dell'autore nell'utilizzare fonti inedite, che svelano aspetti finora trascurati, come l'uso della violenza politica e la presenza di un irredentismo armato già prima della Prima guerra mondiale.
Un tema di particolare interesse è stato l'irredentismo economico, spesso trascurato dalla storiografia, che Manenti ha definito come una dimensione fondamentale per comprendere le dinamiche dell'epoca. Si è discusso di come le fortune economiche di Trieste fossero strettamente legate alle politiche asburgiche, e di come l'irredentismo cercasse di rielaborare questa realtà per giustificare l'annessione all'Italia.
La discussione si è poi concentrata sul linguaggio e sulla nascita del termine "irredentismo", andando oltre la consueta narrazione storiografica. Todero ha mostrato come l'uso del termine abbia radici più antiche di quanto comunemente si creda, offrendo una prospettiva nuova sul significato politico e simbolico del linguaggio nell'identità nazionale.
Un altro aspetto rilevante ha riguardato il ruolo degli esuli irredentisti, tema sul quale Manenti ha espresso il desiderio di un approfondimento ulteriore, data la loro influenza nel mantenere viva la causa nazionale fuori dai confini adriatici.
Non sono mancate riflessioni critiche, come quella di Manenti sulla limitata attenzione data agli esuli irredentisti fuori dal territorio adriatico, pur riconoscendo la difficoltà di includere tutto in un solo volume. Pupo ha invece sollecitato Todero a discutere del rapporto tra irredentismo e fascismo, tema affrontato con equilibrio e senza semplificazioni, evidenziando le differenze tra le diverse fasi del movimento.
Significativo è stato anche il riferimento al neo-irredentismo del dopoguerra, che si manifesta con nuove forme e attori, come la Democrazia Cristiana, segnando un'evoluzione rispetto all'irredentismo ottocentesco, sia per l'approccio ideologico sia per il diverso contesto storico.
La figura di Guglielmo Oberdan è stata centrale nel dibattito, con riflessioni sul suo ruolo simbolico e sulla trasformazione della sua immagine da martire dell'irredentismo a icona nazionale, anche attraverso la strumentalizzazione da parte del regime fascista.
Infine, l'autore ha collegato le dinamiche storiche dell'irredentismo adriatico ai fenomeni contemporanei di rivendicazione territoriale in Europa, sottolineando come certe logiche identitarie e nazionaliste siano ancora oggi attuali.
Un incontro ricco di spunti che ha lasciato il pubblico con nuove chiavi di lettura sulla storia e sul presente delle terre di frontiera.