Focus: presentazione del libro "La Carta del Carnaro"

30 ottobre 2024
Ieri sera, all’Antico Caffè San Marco di Trieste, è stato presentato il libro “La Carta del Carnaro”, edito da Maurizio Bardi e curato da Francesco Micheli. Al tavolo dei relatori sono intervenuti, oltre ai due nominati, Luca G. Manenti, direttore scientifico della Società Internazionale di divulgazione Manlio Cecovini, e il sindaco di Aulla, Roberto Valettini. La presentazione ha permesso di scoprire lati poco conosciuti del documento alla base della Reggenza del Carnaro, redatto nel 1920 dal sindacalista rivoluzionario Alceste De Ambris e ritoccato da Gabriele D’Annunzio secondo il suo stile.

Valettini ha aperto il dibattito, analizzando le ispirazioni democratiche e socialiste della Carta, che sancì con inusuale modernità l’uguaglianza di genere e il ruolo sociale della proprietà. Valettini ha accostato lo scritto deambrisiano, anticipatore di normative adottate decenni dopo, alla Costituzione italiana. Il testo ebbe una portata rivoluzionaria pure in tema di laicità e giustizia sociale.
 
Secondo Manenti la pubblicazione oggi di questo volume, a debita distanza dalle celebrazioni di quattro anni fa, consente una visione più equilibrata dell’impresa di Fiume, evento controverso dal punto di vista storico e politico. Manenti ha evidenziato l’importanza della biografia di Alceste De Ambris per comprendere appieno la Carta, vero e proprio frutto maturo del suo percorso ideologico.

De Ambris passò dal socialismo al sindacalismo rivoluzionario, mantenendo un orientamento anti-monarchico, anti-clericale e anti-militarista, e tentò di coniugare Sorel, Marx e Mazzini.

Due i momenti significativi della sua parabola politica e intellettuale: il 1911 e il 1914. Egli si oppose alla guerra di Libia, che considerò di matrice imperialista, ma si fece interventista allo scoppio del primo conflitto mondiale, vedendovi l’opportunità di abbattere il sistema borghese e creare una società rigenerata.
 
Un approccio, questo, riecheggiante quello di Mussolini, inizialmente pacifista e poi interventista, sebbene i percorsi esistenziali dei due uomini siano approdati su sponde opposte. Alla miscela ideologica della Fiume dannunziana parteciparono nazionalisti e repubblicani, segnando il passo di un’evoluzione dal conservatorismo monarchico alla sinistra con tendenze anarchiche.
Centrale fu il concetto di patria, considerato da De Ambris un valore positivo, di cui il proletariato avrebbe dovuto riappropriarsi.
 
Al termine della grande guerra D’Annunzio rappresentava la figura di riferimento per il patriottismo italiano, mentre Mussolini, pur dotato di spiccate doti politiche, stava all’ombra del poeta-soldato.
 
Micheli ha descritto De Ambris come una figura contraddittoria solo in apparenza, sottolineando come la sua vita politica sia stata una continua evoluzione piuttosto che una serie di incoerenze. De Ambris considerava la pratica sindacale un mezzo per realizzare ideali socialisti, vissuti quotidianamente nei piccoli gesti e nell’azione diretta. Il suo interventismo aveva l’obiettivo di preparare il proletariato alla rivoluzione. La frustrazione per il mancato sciopero generale del 1914 contribuì alla sua presa di posizione. A Fiume egli tentò di avviare un movimento rivoluzionario, culminato nella stesura della Carta del Carnaro, che venne abbellita dal linguaggio magniloquente di D’Annunzio. Dopo il fallimento dell’impresa e il Natale di Sangue, De Ambris cercò di farne un simbolo nazionale contro il fascismo, fondando i Fasci Dannunziani Fiumani.
 
Pur vicino al corporativismo, De Ambris si oppose fermamente al fascismo, vedendovi una forza oppressiva negatrice della libertà di espressione.
 
Bardi ha definito la Carta come la manifestazione di un’“isola che non c’è”, un’utopia che, pur destinata a fallire, fu portata avanti con passione. La costituzione di Fiume fu un atto di poesia, un’idea che, superando il tempo e la realtà politica, provò a ispirare cambiamenti profondi. De Ambris e D’Annunzio diventano così figure da cui partire per ripensare i concetti chiave della contemporaneità.
 
Valettini e Manenti hanno poi esplorato, rispettivamente, i contenuti spirituali della Carta e il significato storico della Reggenza. Dietro l’avventura fiumana, ha affermato Valettini, vi fu un’intensa idealità, espressa nei principi di uguaglianza, libertà e diritti per i più deboli. Non ideologia, dunque, ma una battaglia di ideali destinata a soccombere sotto il fuoco dei cannoni italiani.
 
Manenti ha infine proposto un parallelo tra la Carta del Carnaro e la Costituzione della Repubblica Romana del 1849, entrambe manifestazioni avanzate di principi politici, concepite quando le rispettive esperienze erano ormai prossime alla fine. Il nome “Reggenza di Fiume” fu una trovata poetica di D’Annunzio, un termine che permise sia ai monarchici sia ai repubblicani di identificarsi in essa, creando un’identità politica condivisa. Questa “verniciatura poetica”, come l’ha definita Manenti, ebbe pertanto un peso politico, riuscendo a unire ideali diversi in nome di una comune aspirazione.

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