Strano posto!
Mi sento così piccolo.
Credo che questa sedia in prima fila sia un privilegio transitorio, come il cantuccio all'Oriente per l'apprendista, la sera dell'ingresso.
Dove sono finito? Mi pare tutto così familiare.
Chissà, forse l'Architetto ci somiglia, e apparecchia come noi.
Comunque, eccomi qua: tappa intermedia, nuvoletta personale, bibita, cannocchiale per osservarvi meglio, aria buona, respiro a pieni polmoni.
Anche un dolcetto mi portano: vorrei dire "erano meglio i miei" ma mi è passata la voglia di far baruffa; "grazie" rispondo, e abbasso gli occhi riconoscente, verso il basso, per vedere cosa combinate.
E allora vi vedo, sparpagliati ma avvinti, come se la distanza fisica non contasse e anzi il mio vuoto rinsaldasse il legame tra di voi. Telefoni che vibrano, gente che va a trovarsi, fiumi di parole, fazzoletti, troppe birre. Vi parlate vi cercate vi abbracciate. Cavolo, e io che credevo che non mi sopportaste!
Mi vien da chiamarti, a te laggiù con la lacrima nascosta, a tavola, mentre fingi di star bene: di intimarti a gran voce "dacci un taglio" ma mi bloccano: "no, vietato parlare”. “Sissignore, sto zitto!"
Posso solo vedervi.
Eccoti, anche tu, li impalato davanti al mare. Ci sei arrivato camminando, in silenzio, nel tentativo di consumare in fretta i minuti di questo doloroso sabato di luglio. Hai gli occhiali scuri, e ti pare ancora di udire l'eco delle mie spiegazioni nella chiesetta templare. Centosessanta ore fa. Sul palato il sapore dell'ultima selvaggina. Perché? Credi che io l'abbia già dimenticata? E tutto il resto?
Su, forza, in piedi! È un peccato che la musica sia finita, ma adesso basta, ripigliatevi, che c'è un sacco di roba da fare. Tocca a voi.
È ora!
Mi fanno cenno, devo salutarvi.
Qualcuno mi prende per il braccio.
"Vieni Michele, fidati di me!"
Si bussa da uomo, alla porta del prossimo Tempio.