Musica e persecuzione: il suono della memoria tra fascismo e Shoah

18 giugno 2025
Martedì 17 giugno, all’Antico Caffè San Marco di Trieste, si è tenuto il sedicesimo e ultimo appuntamento della rassegna mensile di conferenze promossa dalla Società Internazionale di divulgazione Manlio Cecovini per gli studi storici sociali ed etici. Ospite della serata Alessandro Carrieri, saggista e musicologo, che ha dedicato il proprio intervento a un tema ancora poco esplorato dalla storiografia: La persecuzione nazifascista in ambito musicale.
 
La conferenza ha offerto una riflessione a più livelli: da un lato, la ricostruzione del quadro legislativo e ideologico che, a partire dal 1938, segnò il passaggio da una politica discriminatoria a una vera e propria persecuzione sistematica degli ebrei italiani, anche nel mondo della cultura musicale; dall’altro, un’indagine attenta sulle biografie dei musicisti perseguitati e sulle forme di espressione artistica nei ghetti e nei campi di concentramento, con particolare attenzione al caso di Theresienstadt.
 
Carrieri ha messo in luce le responsabilità dirette del regime fascista, con particolare riferimento alla figura di Benito Mussolini, nella costruzione di un impianto legislativo apertamente razzista. Le leggi del 1938, ha sottolineato, non furono un’imposizione tedesca, ma frutto di una precisa volontà politica italiana. L’intervento si è soffermato sulle conseguenze che tali provvedimenti ebbero sull’ambiente musicale nazionale: l’espulsione di docenti, esecutori e compositori dai conservatori, dalle bande cittadine e dalle istituzioni culturali. Tra i nomi ricordati, spiccano quelli dei triestini Vittorio Menassè, Vito Levi, Emilio Russi, Guido Davide Nacamulli, uomini dai destini diversi ma accomunati dalla censura e dalla marginalizzazione.
 
Ampio spazio è stato poi riservato al ghetto-campo di Theresienstadt, definito da Carrieri un “ibrido tra lager e insediamento”, dove l’amministrazione nazista favorì un’apparente autonomia culturale che serviva a fini propagandistici. In questo contesto fiorì però una vita musicale sorprendente: compositori come Viktor Ullmann, Hans Krása e Pavel Haas continuarono a scrivere opere, spesso infarcite di citazioni “degenerate” in forma cifrata, quasi a ribadire – con le armi del linguaggio musicale – una forma di resistenza, o meglio resilienza, al dominio totalitario.
 
Particolarmente significativo è stato l’approfondimento dell’opera L’Imperatore di Atlantide, composta da Ullmann proprio a Theresienstadt. L’opera – una parodia feroce del potere assoluto – fu censurata e mai rappresentata durante la guerra, trovando nuova vita in tempi recenti anche grazie al Festival Viktor Ullmann e alle iniziative svoltesi proprio a Trieste. 
 
A completare il quadro, Carrieri ha illustrato il ruolo della musica nei campi di sterminio, in particolare ad Auschwitz, dove le orchestre interne – femminili e maschili – scandivano con marce e ritmi il tempo della vita (e della morte) dei deportati.
 
L’incontro si è chiuso con una riflessione sull’importanza della ricerca storica nel riscoprire vicende personali e collettive rimaste a lungo sommerse. Attraverso le storie dei musicisti perseguitati, Carrieri ha restituito al pubblico non solo una pagina poco nota della Shoah, ma anche un potente esempio della capacità dell’arte di resistere – e testimoniare – anche nei momenti più bui della storia.

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